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L’inestimabile valore della leggerezza

L’inestimabile valore della leggerezza

In Lezioni americane, Italo Calvino delinea una modalità di vivere (oltre che di scrivere) con leggerezza, riferendosi ad un eroe mitologico: di fronte alla pesantezza e all’inerzia del mondo bisogna prendere esempio da Perseo, l’eroe che sfugge all’implacabile sguardo pietrificante di Medusa – finendo col tagliare la testa del mostro – grazie ai sandali alati e a uno scudo riflettente.
Di fronte a tutto ciò che ci “appesantisce”, insegna dunque Perseo, bisogna saper esercitare un certo distacco, “volare” un po’ più al di sopra dei problemi, per non rimanerne invischiati. Bisogna anche imparare a guardare i problemi con un’altra ottica, una logica fuori dagli schemi, con metodi di conoscenza e di verifica innovativi (così come Perseo guarda Medusa riflessa nello scudo-specchio), e semmai, quando serve e non si può fare altrimenti, “darci un taglio”.
La leggerezza di cui parla Calvino è una leggerezza della pensosità, che è associata con la precisione e la determinazione, in contrapposizione alla leggerezza della frivolezza, caratterizzata invece da vaghezza e abbandono al caso.
Per chiarire questa leggerezza pensosa, l’autore cita Paul Valéry: Il faut être léger comme l’oiseau, et non comme la plume (“Si deve essere leggeri come l’uccello che vola, non come la piuma”).

Con la parola leggerezza, nella sua accezione positiva, si indica la qualità di ciò che è delicato, agile, sciolto, aggraziato… Si indica la sensazione che si prova, quando lo spirito non si lascia schiacciare dall’inevitabile peso di difficoltà, ostacoli, disagi.
La leggerezza dona a chi la possiede uno sguardo capace di cogliere la realtà delle cose in trasparenza, al di là di ogni loro possibile, e spesso ineludibile, gravosa opacità.

Come esempio di leggerezza, da proporre ai ragazzi di una seconda media, ho scelto due immagini, dagli albi illustrati La signora Meier e il merlo, di Wolf Erlbruch, e Gli uccelli, di Germano Zullo e Albertine.
Si tratta dell’illustrazione finale di ciascun albo, riportata in entrambi i casi su doppia pagina.

La signora Meier e il merlo, Wolf Erlbruch
Gli uccelli, Germano Zullo, Albertine

Gli elementi su cui i ragazzi sono invitati a prestare attenzione comprendono: il tipo di segno; le figure che compaiono nell’illustrazione (se sono rappresentate intere o in qualche dettaglio; se sono rappresentate in movimento; gestualità ed espressività delle figure); il colore utilizzato (policromia, contrasto, toni, sfumature); la modalità di impiego della luce (presenza di luminosità, di ombre, se è giorno oppure notte); lo schema compositivo dell’immagine (primo piano, sfondo, cambi di scala e di prospettiva); la tecnica e lo stile.
Riguardo alle funzioni narrative, assolte in generale da una qualsiasi immagine e applicabili alle illustrazioni proposte, Paola Zannoner, in un catalogo Mondadori del 2005 elenca quelle che seguono.
F. descrittiva: attraverso lo scenario, lo sfondo dell’ambientazione, con i suoi numerosi dettagli, l’immagine ci racconta tutto sul paesaggio, il clima, l’atmosfera.
F. espressiva: l’immagine denota uno stato d’animo, restituisce i sentimenti dei personaggi per mezzo di espressioni, posture, gestualità, veicola emozioni attraverso la scelta di colori, ombreggiature, uso di chiaroscuri e di segni grafici.
F. referenziale: l’illustrazione fornisce numerose informazioni sociali e culturali attraverso dettagli e segni.
F. interpretativa: l’illustrazione in moltissimi casi coglie aspetti non immediatamente rivelati dal testo e li pone in luce, evidenziandone sfumature, sottintesi, significati più profondi.
F. poetica: l’immagine commuove e diverte, emoziona, intrattiene, fa esprimere sensazioni.

Senza leggere prima i relativi albi, i ragazzi osservano, commentano, confrontano le due illustrazioni. Ha luogo così una sorta di breve Percorso di educazione all’immagine, declinato in una conversazione guidata sugli elementi compositivi e le funzioni narrative di ciascuna illustrazione.

In merito alla funzione interpretativa, i ragazzi provano ad inventare una possibile storia che progredisca coerentemente verso l’illustrazione finale.
A conclusione del percorso si leggono i due albi, che sono fortemente poetici e ricchi di suggestioni, per riflettere ancora sul significato della parola leggerezza.
In entrambi gli albi un dettaglio insignificante e imprevisto, rappresentato dal minuscolo merlo, diventa l’occasione per superare sé stessi ed imparare a “volare”, tutte le volte che siamo gravati dal carico di preoccupazioni, ansie, frustrazioni (soprattutto nel caso della signora Meier) e di monotona routine.
Il “volo”, conseguenza di un atto di amorosa cura verso il piccolo merlo, diventa allora metafora di un atteggiamento mentale sano e creativo, di quella leggerezza positiva e bella, che ci aiuta a reiventarci, quando occorre, e a reagire all’ineluttabile pesantezza del vivere.

P.S. Confrontando la direzione del volo dei due personaggi illustrati, una ragazza ha commentato: «Non è un caso che la signora Meier e l’autista del camion volino in direzioni opposte. Il volo verso sinistra della signora Meier indica un tornare indietro nel tempo, con l’intento di alleggerire almeno in parte il peso di alcuni ricordi (e si sa come i ricordi influenzino il presente!). Volando invece in avanti, verso destra, l’uomo del camion è proiettato verso il futuro, arricchito di una nuova consapevolezza di sé e speranzoso di poter intervenire a sua volta sul mondo, per renderlo un posto migliore».l

Una magia (tra le tante) delle parole

Worcester Sketchbook Park Ave School Bus,
stampa  realizzata da WaterWorksbySumiyo

C’è un libro, scritto a quattro mani da Guido Quarzo e Anna Vivarelli per Salani, che è una sorta di manifesto dell’amore per la lettura, nonché una piccola guida fatta apposta perché della lettura si diffonda l’indispensabile contagio (come è riportato nel sottotitolo e nella quarta di copertina).
Il libro, intitolato Leggere. Un gioco da ragazzi, contiene una frase, una sorta di aforisma, che mi sono appuntata: “Le parole sono la più concreta astrazione di cui siamo capaci.”
Eh sì, perché se in parte è vero che un’immagine spesso vale mille parole – affermano gli autori – è altrettanto vero che alcune immagini le recepiamo, comprendiamo, interpretiamo meglio, soprattutto se sono descritte verbalmente.
Così, un personaggio può essere ‘disperatamente allegro’ solo a parole. E solo con la mente possiamo visualizzare le parole del creatore di Peter Pan, quando scrive ‘E, quanto alle labbra dal sorriso ironico, tenevano in serbo un bacio che Wendy non riusciva mai a farsi dare, sebbene fosse proprio lì, perfettamente visibile, sull’angolo destro della bocca’. (da: Leggere. Un gioco da ragazzi, pag. 13) 

L’ossimoro ‘concreta astrazione’ mi è tornato in mente (o, per meglio dire nel cuore, per rifarmi all’etimologia della parola ricordare) leggendo una pagina di L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise, il romanzo di Dan Gemeinhart, edito da Giralangolo, che ha vinto il Premio Strega Ragazze e Ragazzi nel 2023.

Il testo di Gemeinhart, trascritto di seguito, sortisce una specie di magia: evoca con le parole, e in maniera esemplare, l’immagine di un momento magico, imprevisto e casuale, che dà spessore alla quotidianità dei giorni. È l’immagine di uno stato di grazia, di una luminosa intuizione sul senso della vita… Una di quelle intuizioni che talvolta – e fortunatamente – ci accadono.

Chi ‘racconta’ in prima persona, nel testo, è la giovane protagonista del romanzo, Coyote Sunrise, che insieme al padre percorre in lungo e in largo gli Stati Uniti, a bordo di un vecchio scuolabus trasformato in una “casa su ruote”.

A volte, quando sei in viaggio da tante ore, con l’autostrada che borbotta sotto di te, i raggi del sole che entrano obliqui dai finestrini e il mondo che scorre sfocato al di là del vetro, accade qualcosa di magico. Anzi, no: ‘magico’ non è l’aggettivo giusto. ‘Magico’ sa di sbrilluccicoso, e caruccio, e artificiale. La sensazione di cui sto parlando in realtà è quasi l’opposto. È solida, radicata, liscia, eterna. Come le rocce di fiume. È una specie di elevazione, un po’ come librarsi in aria lasciandosi la strada alle spalle. È come un attimo che a un certo punto prende il volo e si stacca dal resto della tua esistenza. E in quell’attimo non conta più dove ti trovi, e dove stai andando: per lo spazio di qualche respiro, sei ovunque e al contempo in nessun luogo, e riesci a sfiorare qualcosa di grande, una specie di verità che solitamente rimane nascosta. È un po’ come la prima volta che vai in bicicletta e di colpo, come niente, il mondo che prima traballava si assesta su un’armonia cigolante, e un senso di equilibrio ti penetra fin dentro le ossa, un equilibrio di cui neanche immaginavi l’esistenza, fino a quel momento in cui prende vita intorno e dentro di te. Ed è allora che non hai più la sensazione di cadere, e spicchi il volo, e ogni cosa intorno a te ‘canta’, tutto ‘suona vero’.
Lo so, lo so… Possono sembrare discorsi senza senso. Ma solo se non avete mai provato quella sensazione. Perché se invece l’avete provata, sapete benissimo che un senso ce l’hanno, eccome. (da: L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise, pag. 148)

L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise, Illustrazione dalla quarta di copertina



It’s raining cats and dogs

Anni fa (molti, per la verità!) utilizzai la frase fatta sopracitata nel prologo di un libro, intitolato E per compito una fiaba.

PROLOGO

Piove a catinelle. Oggi a scuola ho imparato che in inglese si dice “it’s raining cats and dogs, che letteralmente vuol dire “piovono gatti e cani”.
Sono alla finestra. Sulla strada, a malapena riparata da un ombrello viola, la signora Giuditta si sta dirigendo verso casa. È la mia vicina (le finestre della sua abitazione danno sul cortile dove io e le mie sorelle giochiamo) e si lamenta sempre perché facciamo troppo chiasso.
È magra, con due occhietti pungenti avviluppati in una ragnatela di rughe e il naso schiacciato a forza di tenerlo appiccicato al vetro della finestra da cui ci spia.
La osservo nel suo impermeabile verde acido. “It’s raining cats and dogs”. Ecco all’improvviso nella mia mente l’immagine di un massiccio sanbernardo che le piove addosso. Splash…Povero cane!
La signora Giuditta svolta l’angolo e il mio sogno ad occhi aperti si interrompe.
Mi chiamo Massimiliano, ho dieci anni, due gambe esageratamente lunghe e molta fantasia. Ma oggi piove e non so cosa fare.
(pag. 5)

It’s raining cats and dogs, tradotto con “piove a catinelle” e spiegabile, a quanto pare, con il fatto che, quando la pioggia è particolarmente intensa i gatti possono scivolare dai tetti e cadere sulla testa dei passanti (i cani servono a esagerare il concetto), è il pretesto per sviluppare un Percorso di Lettura sul rapporto uomo-animale.

Il Percorso, rivolto alla classe 1^ della Scuola Secondaria di I grado ha come titolo: Animali: compagni di vita e di avventura. Ha una durata variabile (il minimo, per la verità un po’ risicato, prevede 3 incontri mensili, di 2 ore ciascuno), propone numerosi agganci alla didattica e, soprattutto, promuove la lettura di un nutrito elenco di libri, ciascuno dei quali può diventare occasione di conversazione in classe, seguendo il metodo “Tell me” di Aidan Chambers.

Di seguito trascrivo, in punti, gli argomenti di conversazione in classe, trattati durante gli incontri del Percorso. Ogni punto suggerisce (a discrezione dell’insegnante) un successivo approfondimento dell’argomento proposto, un’attività di scrittura o di disegno.

• Discorso introduttivo su come è nato il legame tra uomo e animale: aspetti della domesticazione del lupo e del gatto; presenza degli animali nella vita sociale e culturale dell’uomo (con un accenno alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale)

• MODI DI DIRE e PROVERBI riferiti agli animali.
Es: Prendere un granchio (modo di dire); Quando il gatto non c’è, i topi ballano (proverbio).
Mi piace leggere, a questo punto, il racconto che Bianca Pitzorno costruisce su un noto modo di dire. Il racconto è intitolato Inghiottire il rospo ed è contenuto nel libro Parlare a vanvera, in cui l’autrice azzarda una stravagante ipotesi sulle origini di dieci celebri “frasi fatte”.

• Animali e PSICOLOGIA, per conoscerci meglio e diventare più empatici.
Con un riferimento specifico al Linguaggio giraffa (o Comunicazione Non Violenta) ideato dallo psicologo Marshall Rosenberg.

• SCIENZE che studiano gli animali, con qualche informazione in più sulla zooantropologia, che offre interessanti spunti di riflessione sul nostro rapporto con le altre specie, ed un accenno alla criptozoologia, che invece scienza non è.

E poi ancora…

• Animali nella BIBBIA, nei BESTIARI FANTASTICI, nella MITOLOGIA, nelle LEGGENDE, nell’ARALDICA, nelle FAVOLE, nelle FIABE, ma anche, e soprattutto, animali legati a PERSONAGGI, FATTI e MOMENTI STORICI precisi.
Di solito invito i ragazzi a ideare e disegnare un proprio stemma di famiglia: i risultati, con le relative spiegazioni e motivazioni che hanno portato a scegliere un determinato animale, sono sempre sorprendenti!

Tanto per riprendere il titolo del post, che parla pur sempre di gatti e cani, e prima di elencare, nella sezione apposita, i libri in tema con il Percorso, concludo con un excursus sul migliore amico dell’uomo (sui gatti mi soffermerò in un’altra occasione!):

• CANI celebri nei FILM e nei CARTONI, nella PUBBLICITÀ e nei FUMETTI.

N.B. La signora Giuditta, con il naso appiccicato al vetro della finestra, mi ha fatto venire in mente due personaggi di un libro appena letto. Si tratta delle due gemelle, in là con l’età e decisamente impiccione, che, in Una notte un assassino, spiano dalla finestra della loro casa gli esuberanti ragazzi Mintz.

N.B. La signora Giuditta, con il naso appiccicato al vetro della finestra, mi ha fatto venire in mente due personaggi di un libro appena letto. Si tratta delle due gemelle, in là con l’età e decisamente impiccione, che, in Una notte un assassino, spiano dalla finestra della loro casa gli esuberanti ragazzi Mintz.
Il libro, scritto da Malika Ferdjoukh ed edito da Pension Lepic nel 2023, non è inserito nell’elenco collegato al post perché con gli animali c’entra poco (anche se un gatto compare qua e là tra le pagine), ma, a mio parere, va letto assolutamente!

Una parola è come il sasso nello stagno

Il titolo dell’articolo ne contiene un secondo, che dà il nome ad un capitolo della famosa, e ormai classica, Grammatica della fantasia, di Gianni Rodari.
Nel capitolo, intitolato per l’appunto Il sasso nello stagno, il «favoloso Gianni» esamina la parola come possibile congegno per attivare l’immaginazione ed innescare uno dei tanti giochi, che servono ad inventare una storia.

Una parola, gettata nella mente a caso, funziona come un sasso gettato in uno stagno – scrive Gianni Rodari nella sua Grammatica –. Infatti, così come il sasso suscita onde concentriche che si allargano sulla superficie dello stagno, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore, allo stesso modo una parola produce una serie infinita di reazioni a catena.
Proprio così: una parola, gettata nella mente, coinvolge nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.(pag. 15)

Qual è dunque, oggi, la parola da cui far nascere un percorso di lettura/scrittura? Dove l’ho “raccolta”? Quali associazioni può suggerire?
La parola è proprio sasso(da cui il richiamo alla Grammatica di Rodari) e compare in un brano del romanzo Respiro, di Antonio Ferrara, che ho citato nel precedente articolo.

Tornando a casa, Tullio decise che da quel momento sarebbe stato attento ad ascoltare la musica della poesia, quella musica che, come diceva Agata, voleva suonare a tutti i costi.
Camminando urtò un sasso col piede, e gli venne da pensare che era un sasso, non una pietra. Perché un «sasso» era tutto levigato già dal nome, e una «pietra» invece era tutta frastagliata, aguzza, e infatti il suo nome aveva la P, la T e la R. E poi pensò che «aguzza» era una parola con la punta, appuntita come un ago.
(Respiro, Antonio Ferrara, pag. 89)

In rete, i collegamenti letterari alla parola sasso sono numerosi. Per gli incontri con le classi di una scuola Primaria, io mi sono riferita a Irene Greco, ideatrice di Leggimiprima, in Anche le pietre hanno un’anima? La meravigliosa vita dei sassi negli albi illustrati. (https://www.youtube.com/watch?v=y9rf50WdUr0).
Nell’elenco proposto da Irene Greco, ognuno degli albi illustrati offre infatti coinvolgenti spunti di conversazione con i bambini, e pretesti interessanti per avviare esperienze di scrittura creativa.

Un’esperienza di scrittura creativa, ispirata però dalla Grammatica della fantasia, riguarda una classe4^. Dopo aver osservato che la parola «sasso» è formata da due sillabe e contiene un’unica consonante ripetuta tre volte, questi giovani esploratori di parole la hanno associata ad altri termini con le stesse caratteristiche.
Hanno così trovato un elenco di parole, di cui si sono serviti per scrivere, a gruppi di quattro, un breve testo narrativo: babbo, mamma, fuffa, cacca, cicci, ciocco, ciucco, cocco, cucco (col significato di cuculo), lilla, nanna, pappa, Peppa, Peppo, tatto, tetto, tutto.

Considerando che, oltre alla parola sasso, il testo doveva contenere almeno tre parole dell’elenco, seguono un paio di esempi, in prosa e in versi, che sarebbero piaciuti a Rodari.

Il testo in prosa: Sotto la pioggia…meglio di no!

Il vecchio cucco, del tutto ciucco dopo una scorpacciata di chicchi d’uva, svolazzava nell’aria, sbandando e sganciando cacca a non finire.
Nel prato sotto di lui, una famiglia di minuscoli fuffi dal pelo lilla babbo, mamma, e i figli Peppo e Peppa – raccoglievano erba cicci per la loro pappacena.
«Piove fango!» esclamò Peppo, al cader del primo gocciolone di cacca.
«Bleah! Non è fango, è pupù d’uccello ed è pure puzzolentissima!» gli fece eco la piccola Peppa, storcendo il nasino peloso
.
«Ma com’è possibile una cosa così disgustosa?» strillò mammafuffa. «Sono appena stata dal parrucchiere ad arricciarmi il pelo, io!»
«Non ci resta che rientrare in casa» disse babbofuffo, mentre una cacca del cucco lo centrava in pieno. «Presto, corriamo!».
Così, veloci come fulmini, i quattro fuffi – che, per chi non lo sapesse, sono esserini minuscoli dall’aspetto umano, completamente ricoperti da una pelliccetta lanosa e lilla – si rifugiarono nella loro casa, una piccola buca scavata sotto un sasso.

L’aspetto più interessante di questo testo scritto dai ragazzi è l’utilizzo creativo della parola fuffa, dopo che ne abbiamo ricercato insieme i diversi significati.
Accanto al significato più consueto di “merce che non vale nulla” o “discorso inconsistente”, i ragazzi hanno infatti scoperto che fuffa indica anche “la tipica lanetta anti-estetica che si forma nei tessuti” o “l’accumulo di peli e polvere nella pelliccia degli animali”.
Incuriositi da questo significato inusuale, se ne sono quindi serviti per inventare la loro simpatica famigliola di minuscola gente fuffa.

Il testo in versi: Svegliati, gnomo!

Un sasso liscio
al tatto
mi scalpitava in mano,
impaziente:
voleva lo lanciassi
contro il ciocco,
eletto a culla
dallo gnomo Peppe.
«Svegliati, gnomo!»
schioccò il sasso
sul ciocco.

«Come riesci a dormire,
dopo che mi hai strappato
dal mio tetto sicuro
e trasformato
così come sono
da ciuchino che ero?
Rendimi con la tua magia
tutto quel
che mi hai preso!»

Per il testo in versi, i ragazzi si sono ispirati alla fiaba Silvestro e il sassolino magico, di William Steig. In questa fiaba l’asinello Silvestro Somarelli, per sfuggire alle grinfie e alle fauci di un leone affamato, si trasforma in pietra, grazie ad uno straordinario sassolino rosso capace di esaudire i desideri.

Ciò che questo testo fantasioso ha ricordato a me è invece una poesia di Sabrina Giarratana, dove c’è un altro sasso (o, per meglio dire, una pietra) che aspetta di essere lanciato dalla mano di un bambino.

Una pietra aspetta sulla riva
forse oggi arriverà un bambino
e forse la terrà un poco in mano
e lei si sentirà di nuovo viva
sarà come avere ali e piume
e anche piedi per saltare più volte
quando lui la lancerà nel fiume
tra tante pietre un tempo raccolte
e lo sa che non deve avere fretta
intanto prende il sole mentre aspetta.

(S. Giarratana, da Poesie nell’erba)

Un libro che stimola il gioco di scrivere una storia contenente la parola sasso è anche Da lontano era un’isola, di Bruno Munari.
In questo caso, il criterio per associare a sasso una seconda (ed eventualmente una terza) parola e dar via libera alla propria invenzione fantastica è il personaggio che Munari ha disegnato sulla pietra stessa, seguendo le sue venature chiare.

La figura sottostante illustra un esempio tratto dal libro (a pag. 20). Il disegno, come spiega l’autore, è realizzato con inchiostro di china.

Una parola è come il sasso nello stagno

Un pensiero sulle parole della poesia, a partire dal libro “Respiro”, di Antonio Ferrara

Vicina al capolinea della vita
son qui a riscriver nella rete…oscura

Non è un caso che questo articolo inizi con un paio di endecasillabi, riecheggianti (mi si perdoni!) i versi danteschi.  Nel libro citato, che propongo in uno dei miei percorsi di lettura a scuola, il giovane protagonista, Tullio, esprime infatti un pensiero suggestivo:

«Dicono che le poesie si fanno come i respiri, che l’endecasillabo, il verso fatto di undici sillabe, sia lungo quanto un respiro, e che per questo sia il verso più bello». (pag. 5)

Fatto sta che, scritta in endecasillabi o meno, la poesia è capace di spremere il succo genuino di ogni parola. Cosicché, se ne assaggiamo il succo, fosse solo con la punta della lingua, quella parola la si conosce in un modo che scopriamo essere nuovo. Se ne gusta il senso – o uno dei sensi – in modo più penetrante e profondo, meno mediato dal comune parlare.

La parola poetica svela di conseguenza i significati inusuali, e non per questo meno autentici (anzi!)  delle cose che racconta. Non è mai una parola “neutra”, ma è una parola che semmai rende importanti anche le cose più scontate e più banali.

Anche a Tullio sarebbe piaciuto vedere la poesia dappertutto, nelle cose piccole a cui nessuno prestava mai attenzione. Ci si voleva allenare, voleva imparare. Se le raccontavi bene, le cose piccole potevano diventare grandi. In fondo anche lui era una cosa piccola che nessuno aveva la pazienza di notare. (pag. 46)

Per rimanere in tema di metafore legate al “senso del gusto”, concludo con un invito: i significati sottesi a parole e cose, nella poesia, sono da assaporare fino in fondo. Da digerire, oserei dire. Così non si rischia di perdere – o magari la si ritrova, nel caso sia già perduta – quell’abitudine sana di non fermarsi alla superficie, alle apparenze della vita.

Ai ragazzi lo spiego con la poesia di un grande maestro:

I bravi signori (Gianni Rodari)

Un signore di Scandicci
buttava le castagne
e mangiava i ricci.

Un suo amico di Lastra a Signa
buttava i pinoli
e mangiava la pigna.

Un suo cugino di Prato
mangiava la carta stagnola
e buttava il cioccolato.

Tanta gente non lo sa
e dunque non se ne cruccia:
la vita la butta via
e mangia soltanto la buccia..

N.B. Il primo endecasillabo è un chiaro riferimento alla mia età anagrafica. Riguardo all’oscurità della rete… parliamone!