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Una parola è come il sasso nello stagno

Una parola è come il sasso nello stagno

Il titolo dell’articolo ne contiene un secondo, che dà il nome ad un capitolo della famosa, e ormai classica, Grammatica della fantasia, di Gianni Rodari.
Nel capitolo, intitolato per l’appunto Il sasso nello stagno, il «favoloso Gianni» esamina la parola come possibile congegno per attivare l’immaginazione ed innescare uno dei tanti giochi, che servono ad inventare una storia.

Una parola, gettata nella mente a caso, funziona come un sasso gettato in uno stagno – scrive Gianni Rodari nella sua Grammatica –. Infatti, così come il sasso suscita onde concentriche che si allargano sulla superficie dello stagno, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore, allo stesso modo una parola produce una serie infinita di reazioni a catena.
Proprio così: una parola, gettata nella mente, coinvolge nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.(pag. 15)

Qual è dunque, oggi, la parola da cui far nascere un percorso di lettura/scrittura? Dove l’ho “raccolta”? Quali associazioni può suggerire?
La parola è proprio sasso(da cui il richiamo alla Grammatica di Rodari) e compare in un brano del romanzo Respiro, di Antonio Ferrara, che ho citato nel precedente articolo.

Tornando a casa, Tullio decise che da quel momento sarebbe stato attento ad ascoltare la musica della poesia, quella musica che, come diceva Agata, voleva suonare a tutti i costi.
Camminando urtò un sasso col piede, e gli venne da pensare che era un sasso, non una pietra. Perché un «sasso» era tutto levigato già dal nome, e una «pietra» invece era tutta frastagliata, aguzza, e infatti il suo nome aveva la P, la T e la R. E poi pensò che «aguzza» era una parola con la punta, appuntita come un ago.
(Respiro, Antonio Ferrara, pag. 89)

In rete, i collegamenti letterari alla parola sasso sono numerosi. Per gli incontri con le classi di una scuola Primaria, io mi sono riferita a Irene Greco, ideatrice di Leggimiprima, in Anche le pietre hanno un’anima? La meravigliosa vita dei sassi negli albi illustrati. (https://www.youtube.com/watch?v=y9rf50WdUr0).
Nell’elenco proposto da Irene Greco, ognuno degli albi illustrati offre infatti coinvolgenti spunti di conversazione con i bambini, e pretesti interessanti per avviare esperienze di scrittura creativa.

Un’esperienza di scrittura creativa, ispirata però dalla Grammatica della fantasia, riguarda una classe4^. Dopo aver osservato che la parola «sasso» è formata da due sillabe e contiene un’unica consonante ripetuta tre volte, questi giovani esploratori di parole la hanno associata ad altri termini con le stesse caratteristiche.
Hanno così trovato un elenco di parole, di cui si sono serviti per scrivere, a gruppi di quattro, un breve testo narrativo: babbo, mamma, fuffa, cacca, cicci, ciocco, ciucco, cocco, cucco (col significato di cuculo), lilla, nanna, pappa, Peppa, Peppo, tatto, tetto, tutto.

Considerando che, oltre alla parola sasso, il testo doveva contenere almeno tre parole dell’elenco, seguono un paio di esempi, in prosa e in versi, che sarebbero piaciuti a Rodari.

Il testo in prosa: Sotto la pioggia…meglio di no!

Il vecchio cucco, del tutto ciucco dopo una scorpacciata di chicchi d’uva, svolazzava nell’aria, sbandando e sganciando cacca a non finire.
Nel prato sotto di lui, una famiglia di minuscoli fuffi dal pelo lilla babbo, mamma, e i figli Peppo e Peppa – raccoglievano erba cicci per la loro pappacena.
«Piove fango!» esclamò Peppo, al cader del primo gocciolone di cacca.
«Bleah! Non è fango, è pupù d’uccello ed è pure puzzolentissima!» gli fece eco la piccola Peppa, storcendo il nasino peloso
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«Ma com’è possibile una cosa così disgustosa?» strillò mammafuffa. «Sono appena stata dal parrucchiere ad arricciarmi il pelo, io!»
«Non ci resta che rientrare in casa» disse babbofuffo, mentre una cacca del cucco lo centrava in pieno. «Presto, corriamo!».
Così, veloci come fulmini, i quattro fuffi – che, per chi non lo sapesse, sono esserini minuscoli dall’aspetto umano, completamente ricoperti da una pelliccetta lanosa e lilla – si rifugiarono nella loro casa, una piccola buca scavata sotto un sasso.

L’aspetto più interessante di questo testo scritto dai ragazzi è l’utilizzo creativo della parola fuffa, dopo che ne abbiamo ricercato insieme i diversi significati.
Accanto al significato più consueto di “merce che non vale nulla” o “discorso inconsistente”, i ragazzi hanno infatti scoperto che fuffa indica anche “la tipica lanetta anti-estetica che si forma nei tessuti” o “l’accumulo di peli e polvere nella pelliccia degli animali”.
Incuriositi da questo significato inusuale, se ne sono quindi serviti per inventare la loro simpatica famigliola di minuscola gente fuffa.

Il testo in versi: Svegliati, gnomo!

Un sasso liscio
al tatto
mi scalpitava in mano,
impaziente:
voleva lo lanciassi
contro il ciocco,
eletto a culla
dallo gnomo Peppe.
«Svegliati, gnomo!»
schioccò il sasso
sul ciocco.

«Come riesci a dormire,
dopo che mi hai strappato
dal mio tetto sicuro
e trasformato
così come sono
da ciuchino che ero?
Rendimi con la tua magia
tutto quel
che mi hai preso!»

Per il testo in versi, i ragazzi si sono ispirati alla fiaba Silvestro e il sassolino magico, di William Steig. In questa fiaba l’asinello Silvestro Somarelli, per sfuggire alle grinfie e alle fauci di un leone affamato, si trasforma in pietra, grazie ad uno straordinario sassolino rosso capace di esaudire i desideri.

Ciò che questo testo fantasioso ha ricordato a me è invece una poesia di Sabrina Giarratana, dove c’è un altro sasso (o, per meglio dire,una pietra) che aspetta di essere lanciato dalla mano di un bambino.

Una pietra aspetta sulla riva
forse oggi arriverà un bambino
e forse la terrà un poco in mano
e lei si sentirà di nuovo viva
sarà come avere ali e piume
e anche piedi per saltare più volte
quando lui la lancerà nel fiume
tra tante pietre un tempo raccolte
e lo sa che non deve avere fretta
intanto prende il sole mentre aspetta.

(S. Giarratana, da Poesie nell’erba)

Un libro che stimola il gioco di scrivere una storia contenente la parola sasso è anche Da lontano era un’isola, di Bruno Munari.
In questo caso, il criterio per associare a sasso una seconda (ed eventualmente una terza) parola e dar via libera alla propria invenzione fantastica è il personaggio che Munari ha disegnato sulla pietra stessa, seguendo le sue venature chiare.

La figura sottostante illustra un esempio tratto dal libro (a pag. 20). Il disegno, come spiega l’autore, è realizzato con inchiostro di china.

Un pensiero sulle parole della poesia…

Un pensiero sulle parole della poesia, a partire dal libro Respiro, di Antonio Ferrara

Vicina al capolinea della vita
son qui a riscriver nella rete…oscura

Non è un caso che questo articolo inizi con un paio di endecasillabi, riecheggianti (mi si perdoni!) i versi danteschi.  Nel libro citato, che propongo in uno dei miei percorsi di lettura a scuola, il giovane protagonista, Tullio, esprime infatti un pensiero suggestivo:

«Dicono che le poesie si fanno come i respiri, che l’endecasillabo, il verso fatto di undici sillabe, sia lungo quanto un respiro, e che per questo sia il verso più bello». (pag. 5)

Fatto sta che, scritta in endecasillabi o meno, la poesia è capace di spremere il succo genuino di ogni parola. Cosicché, se ne assaggiamo il succo, fosse solo con la punta della lingua, quella parola la si conosce in un modo che scopriamo essere nuovo. Se ne gusta il senso – o uno dei sensi – in modo più penetrante e profondo, meno mediato dal comune parlare.

La parola poetica svela di conseguenza i significati inusuali, e non per questo meno autentici (anzi!)  delle cose che racconta. Non è mai una parola “neutra”, ma è una parola che semmai rende importanti anche le cose più scontate e più banali.

Anche a Tullio sarebbe piaciuto vedere la poesia dappertutto, nelle cose piccole a cui nessuno prestava mai attenzione. Ci si voleva allenare, voleva imparare. Se le raccontavi bene, le cose piccole potevano diventare grandi. In fondo anche lui era una cosa piccola che nessuno aveva la pazienza di notare. (pag. 46)

Per rimanere in tema di metafore legate al “senso del gusto”, concludo con un invito: i significati sottesi a parole e cose, nella poesia, sono da assaporare fino in fondo. Da digerire, oserei dire. Così non si rischia di perdere – o magari la si ritrova, nel caso sia già perduta – quell’abitudine sana di non fermarsi alla superficie, alle apparenze della vita.

Ai ragazzi lo spiego con la poesia di un grande maestro:

I bravi signori (Gianni Rodari)

Un signore di Scandicci
buttava le castagne
e mangiava i ricci.

Un suo amico di Lastra a Signa
buttava i pinoli
e mangiava la pigna.

Un suo cugino di Prato
mangiava la carta stagnola
e buttava il cioccolato.

Tanta gente non lo sa
e dunque non se ne cruccia:
la vita la butta via
e mangia soltanto la buccia.

N.B. Il primo endecasillabo è un chiaro riferimento alla mia età anagrafica. Riguardo all’oscurità della rete… parliamone!

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