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Una magia (tra le tante) delle parole

Worcester Sketchbook Park Ave School Bus,
stampa  realizzata da WaterWorksbySumiyo

C’è un libro, scritto a quattro mani da Guido Quarzo e Anna Vivarelli per Salani, che è una sorta di manifesto dell’amore per la lettura, nonché una piccola guida fatta apposta perché della lettura si diffonda l’indispensabile contagio (come è riportato nel sottotitolo e nella quarta di copertina).
Il libro, intitolato Leggere. Un gioco da ragazzi, contiene una frase, una sorta di aforisma, che mi sono appuntata: “Le parole sono la più concreta astrazione di cui siamo capaci.”
Eh sì, perché se in parte è vero che un’immagine spesso vale mille parole – affermano gli autori – è altrettanto vero che alcune immagini le recepiamo, comprendiamo, interpretiamo meglio, soprattutto se sono descritte verbalmente.
Così, un personaggio può essere ‘disperatamente allegro’ solo a parole. E solo con la mente possiamo visualizzare le parole del creatore di Peter Pan, quando scrive ‘E, quanto alle labbra dal sorriso ironico, tenevano in serbo un bacio che Wendy non riusciva mai a farsi dare, sebbene fosse proprio lì, perfettamente visibile, sull’angolo destro della bocca’. (da: Leggere. Un gioco da ragazzi, pag. 13) 

L’ossimoro ‘concreta astrazione’ mi è tornato in mente (o, per meglio dire nel cuore, per rifarmi all’etimologia della parola ricordare) leggendo una pagina di L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise, il romanzo di Dan Gemeinhart, edito da Giralangolo, che ha vinto il Premio Strega Ragazze e Ragazzi nel 2023.

Il testo di Gemeinhart, trascritto di seguito, sortisce una specie di magia: evoca con le parole, e in maniera esemplare, l’immagine di un momento magico, imprevisto e casuale, che dà spessore alla quotidianità dei giorni. È l’immagine di uno stato di grazia, di una luminosa intuizione sul senso della vita… Una di quelle intuizioni che talvolta – e fortunatamente – ci accadono.

Chi ‘racconta’ in prima persona, nel testo, è la giovane protagonista del romanzo, Coyote Sunrise, che insieme al padre percorre in lungo e in largo gli Stati Uniti, a bordo di un vecchio scuolabus trasformato in una “casa su ruote”.

A volte, quando sei in viaggio da tante ore, con l’autostrada che borbotta sotto di te, i raggi del sole che entrano obliqui dai finestrini e il mondo che scorre sfocato al di là del vetro, accade qualcosa di magico. Anzi, no: ‘magico’ non è l’aggettivo giusto. ‘Magico’ sa di sbrilluccicoso, e caruccio, e artificiale. La sensazione di cui sto parlando in realtà è quasi l’opposto. È solida, radicata, liscia, eterna. Come le rocce di fiume. È una specie di elevazione, un po’ come librarsi in aria lasciandosi la strada alle spalle. È come un attimo che a un certo punto prende il volo e si stacca dal resto della tua esistenza. E in quell’attimo non conta più dove ti trovi, e dove stai andando: per lo spazio di qualche respiro, sei ovunque e al contempo in nessun luogo, e riesci a sfiorare qualcosa di grande, una specie di verità che solitamente rimane nascosta. È un po’ come la prima volta che vai in bicicletta e di colpo, come niente, il mondo che prima traballava si assesta su un’armonia cigolante, e un senso di equilibrio ti penetra fin dentro le ossa, un equilibrio di cui neanche immaginavi l’esistenza, fino a quel momento in cui prende vita intorno e dentro di te. Ed è allora che non hai più la sensazione di cadere, e spicchi il volo, e ogni cosa intorno a te ‘canta’, tutto ‘suona vero’.
Lo so, lo so… Possono sembrare discorsi senza senso. Ma solo se non avete mai provato quella sensazione. Perché se invece l’avete provata, sapete benissimo che un senso ce l’hanno, eccome. (da: L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise, pag. 148)

L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise, Illustrazione dalla quarta di copertina